Quando si parla di diritto all’oblio, rispetto a contenuti pubblicati online lesivi dei diritti fondamentali, il rimedio più forte è senz’altro quello della definitiva cancellazione dei dati.
Si tratta di una strada non sempre percorribile: l'interesse del singolo ad essere dimenticato va bilanciato con gli altri rilevanti, come quello della collettività a conoscere fatti legittimamente divulgati o l’interesse alla conservazione della memoria storica.
In questi casi, l’alternativa è l’aggiornamento dei contenuti pubblicati, allo scopo di adeguarli all’evoluzione che ha interessato l’identità della persona coinvolta, o ancora la deindicizzazione, cioè la rimozione, dai risultati dei motori di ricerca, dei link ai siti dove sono disponibili tali contenuti.
La Cassazione, recentemente, è tornata sul diritto all’oblio con alcune precisazioni sui criteri da tenere in conto nel suo accertamento per bilanciare correttamente gli interessi in gioco.
Di particolare rilievo è la possibile obsolescenza della notizia originaria, tanto più quando il suo contenuto è poi sorpassato da una differente verità processuale.
Nei casi di pubblicazione di notizie riguardanti vicende giudiziarie, è stato chiarito che l’obsolescenza va accertata considerando la data degli accadimenti narrati e non, invece, quella successiva della sentenza di assoluzione che chiude il processo.
Altro elemento è l’eventuale qualità di personaggio pubblico del soggetto coinvolto, aspetto di particolare rilievo per assicurare il diritto all’informazione.
I giudici hanno stabilito che non è necessaria una notorietà a livello nazionale: così inteso, questo requisito ridurrebbe eccessivamente le opportunità di conoscenza dei destinatari, proteggendo in modo aprioristico persone le cui vicende possono comunque impattare sulla comunità locale nella quale operano.